La fisiognomica applicata alla politica ha sempre avuto un suo fascino. Giovannino Guareschi s’era inventato i trinariciuti; i comunisti non avevano tre narici, ma una loro facies certamente, anzi più d’una magari nella stessa persona. Dal duro alla Strelnikof (ricordate il dottor Zivago) al faccione bonario ma severo di Peppone. Un po’ alla Luigi Longo e un po’ alla Pajetta. Ma sostanzialmente c’era una faccia da comunista. Ed ancor più la faccia da democristiano; paradigmatico Giulio Andreotti, labbra sottili, sorriso silenzioso, sguardo sornione. In campo femminile facce da casalinga, da massaia alla Tina Anselmi. Faccia e stretta di mano, mai energica, molliccia, appoggiata, segni distintivi della fisiognomica democristiana. Se poi ci aggiungevi il modo di vestire li classificavi prima ancora che aprissero bocca.

C’era la faccia, il portamento dell’intellettuale di sinistra, dal sopracciglio alzato, a quello d’area cattolica, molto cardinalizio e benedicente; non c’era una fisiognomica dell’intellettuale di destra, categoria inesistente che ha avuto al più qualche battitore libero, del tutto casualmente.

Col Sessantotto è arrivata una nuova genia, svestito l’eskimo, tagliati i capelli, curate le barbe, hanno conservato la faccia, arrogante e supponente di quelli che han scoperto l’acqua calda (per alcuni, per altro non modo di dire quando hanno imparato a lavarsi).

Negli anni dello yuppismo la faccia più al passo coi tempi era quella dei socialisti, giovani, baldanzosi, rapidi nei modi e nell’aspetto; le prime linee da Craxi, Martelli, Spini riempivano anche di contenuti il bell’aspetto moderno, alle spalle era solo aspetto.

E sono queste seconde e terze linee che sono transitate armi e bagagli nelle fila del berlusconismo (scusate l’autocitazione, ma ebbi a descrivere così i partecipanti ad una delle prime uscite di Berlusconi – a Mariano Comense, mi pare – dopo la sua discesa in campo. L’allora Cav mise in linea le facce da venditori d’auto prelevate dai ranghi di Publitalia e svecchiò la politica con un gran salto di qualità (estetica) della componente femminile; capello lungo, mise moderne, scollature lontane anni luce dallo stile Nilde Iotti, che pur era elegante nella sobrietà (il vezzo era quello di comprare scarpe, facendosi portare in un certo negozio di Mantova). Sdoganati da Berlusconi, anche i giovani ex missini della corte di Gianfranco Fini, la faccia presentabile (parliamo solo di aspetto, of course) della destra, che aveva relegato ancor più a destra teste rasate, fisici palestrati e modi spicci volgari.

E qui siamo all’oggi. Con una prima constatazione: all’estero non stanno meglio di noi, un Donald Trump in tempi normali avrebbe fatto la controfigura in un cartoon dei Simpson, insieme a lui un Boris Johnson; Teresa May avrebbe avuto un posticino accanto a Duchessa negli Aristogatti (ce la vedete mentre balla sulle note jazz suonate da Romeo e la sua band?); restando in UK, Farange avrebbe una parte sicura nella riedizione della disneyana della Principessa e il Ranocchio (inutile comunque baciarlo, non esce un principe azzurro, forse nemmeno un Carlo, che ormai ha colori da piola torinese più che da pub londinese). Insomma se dovessimo basarci sulla fisiognomica, pur variegata, sul piano internazionale, non c’è da stare allegri senza dover scomodare il nordcoreano Kim Jong-un.

Le facce di casa nostra oggi, non è che diano più affidamento; le categorie sono sostanzialmente due: facce stupite “maguardadovesonofinito” e facce consapevoli, troppo consapevoli, “vediamochesipuòraccattare”. Cioè grillini e leghisti. I primi accumunati dalla formazione casaliniana, vanno dallo stupore permanente di Bonafede e Toninelli, alla sicumera stereotipata nel sorriso di Gigino Di Maio, che non ha mai in sincrono occhi e sorriso; e di sicumera abbondano le popolane da mercato rionale tipo la Taverna (quando ti adegui nei modi alla tua scheda anagrafica). Comunque essendo fuori posto e costruiti in batteria, l’uno più che valere uno, vale l’altro.

Diverso per la Lega; caso a sé fa Salvini, nell’aspetto volgare, prepotente, arrogante tipico dei fascistelli di periferia, capace di gesti bigotti da religiosità mal digerita, ricorda Superbone, personaggio del Monello. Non tanto nell’aspetto (il disegnatore Erio Nicolò ha “visto” Trump prima che questi nascesse) quanto nella supponenza e nella necessità d’esser in guera col mondo. C’era la zia che nei testi di Wanda Bontà lo rimetteva in riga a legnate; urge zia per entrambi i Superboni d’oggi. Si diceva della fisiognomica leghista, nella più parte hanno quell’aspetto da commercialista di paese (senza offesa per i commercialisti), contabili di una ragioneria poco masticata e approssimativa, che se la partita fosse tripla invece che doppia, sarebbe al di sopra delle loro possibilità. Convinti tuttavia che l’economia sia materia facile con ricette estemporanee studiate al bar, dove hanno perfezionato la loro formazione; i più profondi, si vede, hanno un master in “soluzioni vaghe ma accattivanti” per problemi complessi. Ma quel che amano è la risposta roboante, ad effetto, quella che rendeva affascinante persino quel gran divulgatore del verbo leghista in val Camonica, altrimenti noto come Pitin Coion.

E delle opposizioni? Difficile ricercare spunti fisiognomici nel PD, i più interessanti se ne sono usciti: il barbiere di Gallipoli e il finto ruspante di Bettola non sopportavano il Fonzie e hanno sbattuto la porta benché lo stesso Fonzie non sia loro sopravvissuto. D’altro il nulla con il segretario che ha meno personalità che capelli in testa e una vice che, esperta di pelati, appunto, farebbe la sua figura sul mercato a vender pomodori, se il mercato dei pomodori non avesse già decretato che è meglio, se rimane in politica.

Insomma a ben vedere la fisiognomica ci dice abbastanza chiaramente che tutti, o quasi, coloro che oggi vivono di politica decidendo i destini altrui, sono fuori posto e sarebbe meglio si dedicassero ad altro. E il manifesto in questo senso sono gli occhi stupiti sotto le lenti del ministro Toninelli.

i.n.