Il duca principe come il Roi Soleil aveva i suoi garçons pipì. È straordinario come quel modo d’essere, quel concentrato di piaggeria, sia passato a nuovi lidi imbrattando di saliva i banchi della politica. Ai garçons pipì, per altro abbastanza maldestri, si sono aggiunte, diverse e assai solerti, garçonnes pipì. Pronte alla piaggeria più becera che diventa persino irriverente di chi si vuol incensare trasformandola in una miracolistica Madonna pellegrina. E alla lunga il caffè, allungato con troppa pipì, può diventare amaro.

I campanacci in una mandria di mucche servono per rintracciare i vari capi; hanno tonalità diverse, e permettono anche di individuare chi viene riconosciuto come capo della mandria stessa; le mucche in qualche modo riescono a seguire la cacofonia dei diversi campanacci e a tenersi insieme.

Su facebook non ci sono i campanacci; ma ci sono mandrie.

Mi sono già occupato dell’argomento (quello che andiamo ad affrontare non mucche e campanacci), ma resto esterrefatto ogni volta che devo prenderne atto. Molti intervengono nei commenti senza degnare di uno sguardo quel che è stato scritto prima.

Così – tanto per fare un esempio – se uno posta: “ieri sono stato sulla Torre di Pisa”, dopo venti o trenta commenti, sull’ospitalità pisana, sui ristoranti della zona (qualcuno dirà “mangiato un fantastico caciucco” scatenando le proteste dei pisani e dei livornesi) inevitabilmente qualcuno scriverà: “ci sono stato nel 1952 e ho visto che pende”. Il normalista di turno, preciserà subito: “l’inclinazione rispetto all’asse verticale è di 3,97°”, precisazione importante e autorevole perché da uno della Normale (se è appena un po’ normale e non si dedica alla politica, poi alla vinificazione) ti aspetti la precisione scientifica. E raccoglierà un pacchetto di like.

Ma il dibattito non è solo sulla Torre in sé, come abbiamo visto, ma coinvolge il tema preferito, quello gastronomico, quindi si dibatterà su menù, prezzi del caffè in piedi o al tavolo (per non parlare dell’acqua minerale dimenticando che a Parigi una bottiglietta di Badoit al chiosco sugli Champs-Élysée costa come un una Panda 4X4 usata); insomma di tutto un po’ per una quindicina almeno di commenti.

Poi arriverà quello che normalista non è e dirà “l’inclinazione è di una quarantina di gradi”. Cui replicherà immediatamente un altro informato grazie alla Settimana Enigmistica “secondo me una trentina”.

Imperterriti i commentatori dibattono su Vicarello, Livorno, qualcuno chiede notizie della distanza da Siena e da Volterra, se alla porta è meglio un pisano o un livornese, o entrambi.

E finalmente l’intervento, quello che nessuno si aspettava più: “ho letto tempo fa che l’inclinazione è di 3,97°; qualcuno sa dirmi se è vero?”.

Nessuno gli risponde; il normalista che per primo aveva dato la misura, scoraggiato per aver speso parole per nulla, la maggior parte perché concentrata sul caffè al tavolo, salvo qualcuno che si stacca e azzarda “grazie, non lo avevo mai letto”. Confermando così che si dà un’occhiata al post iniziale, qualche altra ai commenti presi a caso, e si risponde quel che si vuole, non sempre a tono e in argomento.

Cosicché Facebook da piazza virtuale finisce per trasformarsi in un pascolo dove ogni mucca muove il suo campanaccio.

I.N.

Uno dei punti deboli – ce ne sono altri, ma questo è tra i più evidenti e di facile interpretazione – dell’idea di collocare il futuribile (e necessario, ma è una opinione) ospedale sulla cosiddetta Area 6, quella cioè al di fuori della tangenziale, tra la Farnesiana (inteso come PEEP) e le Novate (intesa come cascina, e non carcere, absit iniuria verbis) è quello della viabilità afferente all’area medesima.

Un problema che si innesta sulla valutazione generale della mobilità in tutta la città, che è tema ben più ampio e complesso, ma anche alla piccola osservazione del dito (quello che indica la più ampia luna) risulta evidentemente mal posto. L’ospedale andrebbe a inserirsi tra gli svincoli della tangenziale sulla Farnesiana con rampe che portano ad incrociare a raso l’arteria e un raccordino su Strada delle Novate, che è poco più di uno stradello di campagna. Il che sta a significare che l’accesso all’area dell’ospedale, che vuol dire parcheggi per utenti, accessi di pronto soccorso e ogni altra necessità peserebbe sull’unica direttrice di via Farnesiana, che di suo già raccoglie negli orari topici il traffico per San Giorgio, Carpaneto.

Scusate se è poco.

Una evidente debolezza, di cui non si è tenuto conto così come nei piani della mobilità attualmente in gestione nulla si è valutato della collocazione extra tangenziale di un fondamentale polo attrattivo del traffico e viceversa non si è tenuto conto dei piani nella scelta dell’area.

Vabbè uno dice, alla genovese, avranno la loro convenienza. Quelli in maggioranza, ovviamente.

Ma quelli in minoranza? Benché la minoranza sia da poco (difficile parlare di opposizione riferendosi alla più parte di costoro e soprattutto agli ex soci di maggioranza dei governi locali precedenti) una valutazione del genere dovrebbe farla. Anzi potrebbe essere il punto di forza di un attacco continuo e pressante.

Sarà che la memoria storica ha ancora ben presente la pressione continua – negli anni Settanta – a proposito delle mansarde e dei sopralzi in edilizia piatto forte delle campagne che portarono il PCI in Comune con sindaco Trabacchi, ma anche più semplicemente e di recente la opposizione strenua dei residenti di viale Patrioti contro l’utilizzo del sedime ex SIFT per portare all’autostazione le corriere nel mondo più semplice e meno invasivo di nodi fondamentali per il traffico.

Sarà che ci sono questi begli esempi di come si gestisce una campagna quando ci si vuole opporre a qualche cosa o quanto meno si vuol scalzare e mettere in difficoltà una amministrazione locale che parte un domanda: ma perché il PD che non ha argomenti (tanto che li va a cercare con un sondaggio. Passati i bei tempi quando la sinistra aveva il polso della situazione o – come mi disse il sindaco di Bologna Renzo Imbeni, tanti anni fa, il “controllo democratico del territorio”) non usa questo banalissimo argomento? Perché non usa un tema di facile prese anche nell’immaginario collettivo?

Non riesci a darti una spiegazione. Poi casualmente ti imbatti nell’organigramma dell’esecutivo provinciale alla cui guida, c’è un democristiano d’antan e scopri che le “deleghe tematiche” che più dovrebbero essere coinvolte “salvaguardia e tutela dell’ambiente, mobilità integrata”, sono affidate ad un funzionario dell’Amministrazione Provinciale che, per questioni di carriera o semplicemente di lassez faire (ma allora perché occupare una casella in organigramma di partito, classico piede in due scarpe), non può che abbozzare di fronte alla sua Presidente, che essendo anche Sindaco di Piacenza, dovrebbe essere l’obiettivo di una campagna di opposizione dura. Ma forse sottobanco lo sta facendo. Molto sottobanco se non se ne ha notizia. Ed è un esempio dell’inerzia ormai congenita che quell’organigramma di desaparecidos palesa ad ogni riga. Tutti a lavorare sotto traccia evidentemente. Ma non si sa per chi e per che cosa.

Per ora il PD raccoglie le idee, in modo strampalato, con un sondaggio che ha tra le domande qualificanti “come giudichi il lavoro dell’Amministrazione in carica (sindaca Patrizia Barbieri)?”, oppure chiede un giudizio su “Decoro urbano/Bellezza”. Bellezza? Il decoro urbano è un dato oggettivo, (la cacca dei cani per strada non è decorosa), la bellezza è un dato estremamente soggettivo (i cavalli di Paladino, ad esempio). Già ma quando le idee sono confuse, questo e altro. Compreso il funzionario/militante che non ha il guizzo di addentare chi ha in mano le briglie della sua carriera.

i.n.

Un mondo surreale:

Su facebook uno posta: che giorno è oggi?

risposta 1: il 28

risposta 2: sabato

risposta 1.1: domani è il 29

risposta 1.1.1: no, ieri era 27

risposta 1.1.2; trenta dì conta novembre con april, giugno e settembre

risposta 1.1.3; febbraio ha 28 giorni

risposta 1.1.4: si ma quest’anno ne aveva 29

risposta 2.1: proprio vero, domani l’altro è lunedì e ricomincia le settimana

risposta 3: i mesi sono 12, gli stipendi però sono 13 o 14, perché c’è anche la tredicesima a dicembre e qualcuno a giugno ha una quattordicesima

risposta 4: il salario non è più una variabile indipendente

risposta 5: oggi ne abbiamo 28 ed è sabato

risposta 5.1: a me pagano lo stipendio il 27

risposta 5.2: venerdì è di magro

risposta 6: in montagna c’è poca neve, questo week end non si scia

risposta 7: Renzi (o Salvini, o Di Maio, o Zingaretti, o Bersani, o Berlusconi a scelta) è uno stronzo

risposta 7.1: siete i soliti comunisti (o fascisti, anche questo a scelta)

risposta 8: ho controllato sul calendario domani è 29, quindi oggi è 28.

Questo è più o meno lo schema di un dibattito su facebook

Forse stiamo rincoglionendo tutti.

In questi giorni si fanno bollettini con numeri che lasciano sgomenti.

Una epidemia – pandemia, come correttamente ormai certificano gli organismi internazionali – che sta creando un clima non diverso da quello che hanno vissuto le nostre famiglie un secolo fa. Era una guerra allora ad aprire vuoti nelle nostre famiglie. Poi anche allora fu una epidemia, difficile da comprendere, non dissimile da quella che oggi invece la scienza riesce a decifrare meglio, ma l’avere più strumenti scientifici non consola né rende meno drammatica la situazione.

Piacenza, coinvolta da subito nel dramma esploso il 21 febbraio con il primo caso segnalato a Codogno, è prima linea; solo apparentemente un fronte secondario. Non è stata zona rossa nelle prime settimane e poteva esserlo se si fosse valutato come e quanto quei territori a nord del Po siano interconnessi con la città e buona parte della provincia. Ma non è tempo ancora di queste valutazioni.

Di fronte ai numeri che ogni giorno i bollettini sanitari snocciolano, di fronte alle notizie della cronaca che rivestono di nomi i numeri, la memoria va a ripescare quelle pagine di un secolo fa che si sovrappongono alle pagine di oggi.

E nasce un raffronto seppur con notevoli imprecisioni – perché precisi non furono le fonti e i registri dell’epoca – con quegli elenchi dei 4800 e più piacentini caduti nella Grande Guerra.

Non sarà uno stillicidio di quaranta mesi, non ci saranno quei dati che anno per anno sono strettamente legati all’andamento delle diverse fasi, con riferimento alle “spallate” che Cadorna si ostinava a dare o ai tentativi austriaci di sfondare il fronte italiano (riuscendoci, ma con i tedeschi a Caporetto nel 1917). Ma la statistica del passato ci porta a meglio capire le dimensioni di quanto stiamo vivendo oggi.

Il primo caduto piacentino sembra dall’Albo d’Oro sia stato Vittorio Piva, classe 1895 di Castel San Giovanni, fante del 74° reggimento Brigata

In quei primi giorni di maggio i caduti furono 8. Analizzando gli altri mesi del 1915 troviamo

Giugno       75

Luglio         113

Agosto        177

Settembre    134

Ottobre       213

Novembre   165

Dicembre    104

I caduti di ottobre si riferiscono soprattutto alle prime quattro battaglie dell’Isonzo susseguitesi tra luglio e novembre. Complessivamente nei primi sei mesi di guerra un migliaio di caduti.

L’intero 1916, pur terribile con punte in giugno per l’attacco austriaco sugli Altipiani e la sesta battaglia dell’Isonzo conterà 862 piacentini caduti.

Gennaio      39

Febbraio     25

Marzo         53

Aprile         31

Maggio       97

Giugno       132

Luglio         67

Agosto        125

Settembre    57

Ottobre       86

Novembre   87

Dicembre    76

Più pesante su tutti i fronti ed anche su quello italiano il 1917; questi i numeri mese per mese:

gennaio       40

febbraio      33

marzo         100

aprile          33

maggio        276

giugno        120

luglio          50

agosto         191

settembre    83

ottobre        104

novembre   111

dicembre     101

I numeri più alti coincidono con la decima e undicesima battaglia dell’Isonzo

Il due giorni più pesanti il 23 maggio 2017 con 37 caduti e il 19 agosto con 36 morti

In ottobre nei quattro giorni cruciali di Caporetto i caduti furono

il 24 ottobre 11

il 25 ottobre 6

il 26 ottobre 10

il 27 ottobre 9

I numeri di novembre e dicembre sono riferiti alla cosiddetta battaglia d’arresto, quella che con la resistenza sul Piave, Grappa e Altipiani fermerà l’avanzata austriaca (con i tedeschi di rinforzo, almeno nelle prime fasi)

Oltre 3000 i caduti quindi nei primi trenta mesi di guerra.

Nel 1918, non c’è più Cadorna alla guida dell’esercito ed è, per forza di cose accantonata la strategia delle spallate per puntare al cuore dell’impero. Tuttavia i dati rimangono impressionanti, non tanto nei primi mesi, ma proprio negli ultimi mesi del conflitto. Abbiamo così:

Gennaio      81

Febbraio     78

Marzo         96

Aprile         75

Maggio       69

Giugno       172

Luglio         91

Agosto        56

Settembre    120

Ottobre       281

Novembre   196

L’Albo d’oro riporta poi altri 399 nomi di militari morti tra dicembre e la fine del 1919 quando sarà completata la smobilitazione. Ma di questi solo 41 sono i caduti in conseguenza di fatti di guerra. Perché già dall’agosto accanto alle vittime dei combattimenti si vanno ad aggiungere i deceduti per malattia.

In giugno la battaglia del Solstizio, l’ultimo attacco austriaco su Piave e Montello in una solo settimana aveva provocato 89 morti; ma conferma la tendenze dei mesi precedenti. Già a settembre per fatti di guerra le vittime risultano essere 27; quindi un centinaio sono i merti per la “spagnola” che incide pesantemente sui caduti di ottobre 60, per combattimenti e 220 per malattia. Dei 196 di novembre solo 13 sono riferibile agli ultimi scontri con gli austriaci in rotta.

I.N.

La fisiognomica applicata alla politica ha sempre avuto un suo fascino. Giovannino Guareschi s’era inventato i trinariciuti; i comunisti non avevano tre narici, ma una loro facies certamente, anzi più d’una magari nella stessa persona. Dal duro alla Strelnikof (ricordate il dottor Zivago) al faccione bonario ma severo di Peppone. Un po’ alla Luigi Longo e un po’ alla Pajetta. Ma sostanzialmente c’era una faccia da comunista. Ed ancor più la faccia da democristiano; paradigmatico Giulio Andreotti, labbra sottili, sorriso silenzioso, sguardo sornione. In campo femminile facce da casalinga, da massaia alla Tina Anselmi. Faccia e stretta di mano, mai energica, molliccia, appoggiata, segni distintivi della fisiognomica democristiana. Se poi ci aggiungevi il modo di vestire li classificavi prima ancora che aprissero bocca.

C’era la faccia, il portamento dell’intellettuale di sinistra, dal sopracciglio alzato, a quello d’area cattolica, molto cardinalizio e benedicente; non c’era una fisiognomica dell’intellettuale di destra, categoria inesistente che ha avuto al più qualche battitore libero, del tutto casualmente.

Col Sessantotto è arrivata una nuova genia, svestito l’eskimo, tagliati i capelli, curate le barbe, hanno conservato la faccia, arrogante e supponente di quelli che han scoperto l’acqua calda (per alcuni, per altro non modo di dire quando hanno imparato a lavarsi).

Negli anni dello yuppismo la faccia più al passo coi tempi era quella dei socialisti, giovani, baldanzosi, rapidi nei modi e nell’aspetto; le prime linee da Craxi, Martelli, Spini riempivano anche di contenuti il bell’aspetto moderno, alle spalle era solo aspetto.

E sono queste seconde e terze linee che sono transitate armi e bagagli nelle fila del berlusconismo (scusate l’autocitazione, ma ebbi a descrivere così i partecipanti ad una delle prime uscite di Berlusconi – a Mariano Comense, mi pare – dopo la sua discesa in campo. L’allora Cav mise in linea le facce da venditori d’auto prelevate dai ranghi di Publitalia e svecchiò la politica con un gran salto di qualità (estetica) della componente femminile; capello lungo, mise moderne, scollature lontane anni luce dallo stile Nilde Iotti, che pur era elegante nella sobrietà (il vezzo era quello di comprare scarpe, facendosi portare in un certo negozio di Mantova). Sdoganati da Berlusconi, anche i giovani ex missini della corte di Gianfranco Fini, la faccia presentabile (parliamo solo di aspetto, of course) della destra, che aveva relegato ancor più a destra teste rasate, fisici palestrati e modi spicci volgari.

E qui siamo all’oggi. Con una prima constatazione: all’estero non stanno meglio di noi, un Donald Trump in tempi normali avrebbe fatto la controfigura in un cartoon dei Simpson, insieme a lui un Boris Johnson; Teresa May avrebbe avuto un posticino accanto a Duchessa negli Aristogatti (ce la vedete mentre balla sulle note jazz suonate da Romeo e la sua band?); restando in UK, Farange avrebbe una parte sicura nella riedizione della disneyana della Principessa e il Ranocchio (inutile comunque baciarlo, non esce un principe azzurro, forse nemmeno un Carlo, che ormai ha colori da piola torinese più che da pub londinese). Insomma se dovessimo basarci sulla fisiognomica, pur variegata, sul piano internazionale, non c’è da stare allegri senza dover scomodare il nordcoreano Kim Jong-un.

Le facce di casa nostra oggi, non è che diano più affidamento; le categorie sono sostanzialmente due: facce stupite “maguardadovesonofinito” e facce consapevoli, troppo consapevoli, “vediamochesipuòraccattare”. Cioè grillini e leghisti. I primi accumunati dalla formazione casaliniana, vanno dallo stupore permanente di Bonafede e Toninelli, alla sicumera stereotipata nel sorriso di Gigino Di Maio, che non ha mai in sincrono occhi e sorriso; e di sicumera abbondano le popolane da mercato rionale tipo la Taverna (quando ti adegui nei modi alla tua scheda anagrafica). Comunque essendo fuori posto e costruiti in batteria, l’uno più che valere uno, vale l’altro.

Diverso per la Lega; caso a sé fa Salvini, nell’aspetto volgare, prepotente, arrogante tipico dei fascistelli di periferia, capace di gesti bigotti da religiosità mal digerita, ricorda Superbone, personaggio del Monello. Non tanto nell’aspetto (il disegnatore Erio Nicolò ha “visto” Trump prima che questi nascesse) quanto nella supponenza e nella necessità d’esser in guera col mondo. C’era la zia che nei testi di Wanda Bontà lo rimetteva in riga a legnate; urge zia per entrambi i Superboni d’oggi. Si diceva della fisiognomica leghista, nella più parte hanno quell’aspetto da commercialista di paese (senza offesa per i commercialisti), contabili di una ragioneria poco masticata e approssimativa, che se la partita fosse tripla invece che doppia, sarebbe al di sopra delle loro possibilità. Convinti tuttavia che l’economia sia materia facile con ricette estemporanee studiate al bar, dove hanno perfezionato la loro formazione; i più profondi, si vede, hanno un master in “soluzioni vaghe ma accattivanti” per problemi complessi. Ma quel che amano è la risposta roboante, ad effetto, quella che rendeva affascinante persino quel gran divulgatore del verbo leghista in val Camonica, altrimenti noto come Pitin Coion.

E delle opposizioni? Difficile ricercare spunti fisiognomici nel PD, i più interessanti se ne sono usciti: il barbiere di Gallipoli e il finto ruspante di Bettola non sopportavano il Fonzie e hanno sbattuto la porta benché lo stesso Fonzie non sia loro sopravvissuto. D’altro il nulla con il segretario che ha meno personalità che capelli in testa e una vice che, esperta di pelati, appunto, farebbe la sua figura sul mercato a vender pomodori, se il mercato dei pomodori non avesse già decretato che è meglio, se rimane in politica.

Insomma a ben vedere la fisiognomica ci dice abbastanza chiaramente che tutti, o quasi, coloro che oggi vivono di politica decidendo i destini altrui, sono fuori posto e sarebbe meglio si dedicassero ad altro. E il manifesto in questo senso sono gli occhi stupiti sotto le lenti del ministro Toninelli.

i.n.

Che sui grandi temi ci possa essere divergenza di opinioni, che sui temi politici scatti il reciproco odio tra fazioni, che su ragionamenti complessi ci sia chi non coglie il nesso tra i vari passaggi, è possibile, prevedibile e accettabile. Ma che su una cosuccia banale come l’abbattimento di qualche pianta malata lungo un viale presti il destro ad un lunghissima serie di pareri, lascia da un lato sbigottiti, dall’altro fa riflettere come sia tanto frequente il fenomeno da renderci assuefatti a quelle che il filosofo americano Harry Frankfurt, definisce stronzate. Lui si riferisce al proliferare dei notizie farlocche e banali sui media di qualche anno fa, ma ha solo anticipato di pochissimo l’abbondanza di bullshit che si diffonde nelle rete.

Il post che “anticipa” la discussione spesso è del tutto innocuo: “Dieci tigli malati saranno abbattuti in viale delle Rimembranze”. Notizia che sul momento suscita deboli reazioni; due giorni dopo nuovo post: “Cominciati i lavori in viale delle Rimembranze per abbattere i dieci tigli”.

E unter den Linden, si scatena la bagarre che ha più o meno questo andamento:

  • Che peccato quanti uccellini resteranno senza nido
  • E’ tutta colpa dell’amministrazione di centrodestra che non rispetta le piante
  • Quando rimetteranno le piante tolte
  • Hanno detto che erano malate e rischiavano di cadere in testa alla genete
  • Colpa della amministrazione di sinistra che quindici anni fa ha fatto fare una potatura sbagliata
  • Non ci sono più i giardinieri di una volta
  • Solito privilegio dei ricchi di viale delle Rimembranze, da noi in vicolo Corto ci sono le piante, ma non le curano.
  • Tutta colpa di Renzi [Non si capisce perché, ma in qualche modo ci finisce sempre dentro]
  • Mio nonno sul suo fondo aveva i tigli e raccoglieva i fiori per fare la tisana.
  • Non ci sono più i tigli di una volta
  • Perché non hanno messo i carpini, e poi chi ha detto che erano malati
  • Hanno fatto uno studio dell’Agraria
  • Era meglio se lo facevano fare a veterinaria perché il problema sono gli uccelli che hanno perso il nido
  • Buona la tisana di tigli del nonno, mio papà mi raccontava che la faceva sua zia
  • Vedrete che non rimettono le piante
  • Tanto non sanno potarle quindi fra venti o trent’anni siamo al punto di partenza
  • Colpa dell’amministrazione degli amici di Renzi, aveva ragione Zagrebelski; erano contro la Costituzione. Anche le piante hanno i loro diritti
  • Ti sei dimenticato i diritti al nido degli uccelli
  • Ma se poi cadevano in testa alle gente che cosa avreste detto?
  • La gente? Quale gente? lì ci passano solo i ricchi
  • Ma le piante tolte quando le rimettono
  • E i lampioni di via Barbarossa? Hanno messo i led e c’è troppa luce
  • Sul viale i lampioni si infilavano tra i rami e si vedeva nienete, magari ci fossero i led
  • Ma perché devono togliere le piante ci vuole più verde in città
  • Le piante malate cadono sulla strade possono dare danno. Col clima che c’è adesso è sempre un rischio
  • Bisogna togliere le macchine di strada, mica le piante
  • Anche i cani hanno i loro diritti, il mio era abituato a fare più sulla stessa pianta, spero non sia tra quelle malate a la lascino
  • Tutta colpa di Renzi che ha fatto entrare i clandestini che hanno portato malattie
  • Perché Salvini, allora? Le piante le fanno togliere i suoi amici
  • Già il centrisinistra ai tempi di Aldo Moro aveva pensato una cosa del genere ma non ne aveva fatto nulla
  • Quando ero piccola mio papà mi portava a passeggiare lì e i tigli erano piccoli. Che tristezza adesso lì tolgono.
  • Hanno detto che sono malati…
  • Vedrete che non rimettono le piante
  • Colpa della amministrazione di sinistra che quindici anni fa ha fatto fare una potatura sbagliata
  • Non ci sono più i giardinieri di una volta
  • Solito privilegio dei ricchi di viale delle Rimembranze, da noi in vicolo Corto ci sono le piante, ma non le curano.
  • Bisogna togliere le macchine di strada, mica le piante
  • La gente? Quale gente? lì ci passano solo i ricchi
  • Ma le piante tolte quando le rimettono
  • E i lampioni di via Barbarossa? Hanno messo i led e c’è troppa luce
  • Ma se poi cadevano in testa alle gente che cosa avreste detto?

E si riparte da capo, diversa la sequenza (con possibili riprese anche a distanza di mesi e di anni) ma la musica non cambia; si potrebbe proseguire con und so weiter, se vogliamo usare le parole con cui i direttori d’orchestra mettono fine al Perpetuum Mobile op.257 di Johann Strauss jr.

i.n.

Di un fenomeno, capita a volte di trovare la spiegazione del tutto casualmente. Si cercano altre cose e ci si imbatte nella soluzione di un quesito.

E’ stata illuminate questa volta una verifica sull’esistenza della Sindrome di Kartagener, per imbattersi in una malformazione particolare, ma, nell’80% dei casi compatibile con la vita e soprattutto con la vita normale, per cui la sua individuazione è del tutto casuale. Si chiama SIV, a voler usare un acronimo come va di moda oggi, per esteso Situs Inversus Viscerum. Il dizionario di medicina (2010) della Treccani, così la definisce “Rara condizione malformativa caratterizzata dal fatto che uno, più di uno o addirittura tutti gli organi toracici o addominali sono situati nel lato opposto a quello normale (destrocardia, trasposizione dello stomaco, del fegato, della milza, dell’intestino crasso, ecc.)”; l’edizione del 1936 dell’Enciclopedia Italiana, con qualche finezza (e anche scarsa attenzione al politicamente corretto tipica del tempo)  scrive: “È detto anche situs transversus o eterotassi (ἕτερος “altro” e τάξις “disposizione”) o trasposizione, o inversione laterale dei visceri. Si tratta di un’anomalia non rarissima che si può riscontrare anche nei bruti, per la quale i visceri che normalmente si trovano nel lato destro del corpo sono invece situati nel sinistro e viceversa (cosiddetta “situazione speculare”, o “immagine speculare” della situazione normale dei visceri) e, analogamente, i visceri che si trovano più o meno sulla linea mediana, come il cuore e i grossi vasi che se ne dipartono o vi arrivano, hanno collocate dal lato opposto le parti che dovrebbero trovarsi da un lato o hanno direzione inversa. Se non vi sono notevoli malformazioni congenite di altra specie, il s. i. v. è compatibile con la vita, non solo, ma i soggetti che lo presentano possono sottoporsi a strapazzi fisici anche gravi. In molti casi l’individuo ne venne a conoscenza in età più o meno avanzata e incidentalmente, p. es. in seguito all’essere ricorso al medico per ragioni completamente estranee all’anomalia. L’indagine radiologica facilita assai la diagnosi del s.i.v. nel vivente.”.

Si tratta quindi di una malformazione che si ha sull’asse verticale del corpo.

L’attuale situazione politica invece ci sta rivelando che esiste una analoga malformazione sull’asse orizzontale. Non può essere diversamente infatti. L’evidenza non necessita nemmeno dell’esame radiologico o delle più moderne ecografie e TAC. Non può essere che una condizione – nemmeno troppo rara visti i risultati – di situs inversus, quella che a molti ha messo il culo al posto del cervello e viceversa.

i.n.

Una domanda da niente: ma quanti fessi ci sono in giro? In rete poi ne trovi a grappoli. L’ultimo qualche post fa. Con il consueto “condividete” ci spiega che un euro equivaleva alla sua introduzione 1936,27 lire, mentre per i tedeschi equivaleva a un marco, e che al momento dell’introduzione dell’euro il marco si cambiava con 900 e rotte lire. Cioè un giochino al raddoppio che qualunque massaia ha ben presente dal 2 gennaio 2002; cioè a trentasei ore dalla sua introduzione (nella transazioni era già applicato dal 1 gennaio 1999).

Eppure c’è ci sembra scoprirlo solo ora (tra i frequentatori della rete, ma – e questo assai più grave – anche fra i frequentatori del Transatlantico e zone limitrofe, che per altro lira più lira meno hanno conservato un cambio 1:1) e te la vuole anche spiegare come fosse una novità. Si resta sempre allibiti di fronte a tanta stupidità. Eppure basta andare in qualche vecchio negozietto e si trovano le tracce ancora oggi ben visibili della svolta forse demenziale del 2002. Già ma chi sa cogliere i particolari? Chi presta attenzione?

In una piccola merceria il gancetto di una lampo costa 2,50 euro. Ma il merciaio ci tiene a conservare quell’aria un po’ fané che aveva la botteguccia al tempo di sua nonna, così, oltre ai banchi e agli scaffali ha conservato anche le scatolette di cartone originali. Quelle della nonna, tutte divise in scomparti, un po’ consumati ormai ma danno il sapore del tempo. E sugli scomparti la cifra che aveva  scritto la nonna per ogni tipo di bottone o di gancetto: 2.500 lire. Che tradotto in euro farebbe un euro e 29 centesimi.  I due euro invece ci porterebbero a 4840,67 lire. Che non è proprio il doppio ma ci arriva molto vicino.

Quello che a 17 anni di distanza continua a preoccupare non è l’evidente impoverimento del Paese e di un ceto medio di stipendiati che non hanno avuto alcuna possibilità di compensare alcunché di quanto perse  nel cambio di moneta, ma che ancora ci sia che se ne meraviglia non essendosene accorto prima. E se uno per diciassette anni non ha registrato e metabolizzato il danno subito, be’ puoi raccontargli tutte le più grosse e inverosimili fandonie (oggi le chiamano fake news, e in qualche caso decreto legge),  se ne accorgerà, forse, tra una ventina di anni.

i.n.

A parte i dog sitter che si avventurano per le strade, anche del centro e dello shopping attorniati da una variegata muta, non basta più un cane. Che siano minuscoli o grandi come un vitello poco importa, siamo al raddoppio, quanto meno. Con doppia difficoltà di gestione, ovviamente.

Fin che se ne stanno in casa poco importa. Affari loro. Ma per strada cominciano i problemi. Per gli altri, ovviamente, quelli che i cani non li hanno, né li vorrebbero.

Due cani, benché conviventi, benché forzatamente costretti a passeggiare insieme, di certo non fanno pipì e pupù contemporaneamente. Anzi a ben vedere quando uno fa l’altro si allontana sdegnato e sdegnoso.

I proprietari di cani hanno la tendenza ad utilizzare guinzagli piuttisto lunghi. Non può, dicono gli psicologi canini (o psicologi cani?), essere troppo costretta povera bestiola. Che poi li costringano in tutine simil Moncler o su passeggini stile Queen Elisabeth (sia nel senso di old british, sia nel senso del transatlantico) è un altro paio di maniche.

Guinzaglio lungo, dicevamo, col risultato che mentre uno fa i bisognini dai quali non va distratto e l’altro si allontana, cani e padrone (padrona più spesso) hanno un ingombro pari all’apertura alare di un B52.

E prova a passare a piedi o in auto che sia. Sempre che ti si faccia strada sarai guardato con l’espressione di chi sta pensando: ma brutto stronzo dovevi proprio passare per di qua.

E sì dovevo passare, e per favore, dopo che sono passato, non faccia finta di niente, raccolga quello che i suoi ingombranti animali hanno lasciato.